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CONDOMINIO E LOCAZIONI TURISTICHESe cercate una location in cui trascorrere una breve vacanza o un viaggio di lavoro, probabilmente troverete in offerta più appartamenti (o singole stanze) che alberghi.

E non sempre in ville singole, ma quasi sempre nel mezzo di altre porzioni esclusive di edifici condominiali.

Le varie formule declinate per i soggiorni brevi riscuotono sempre più successo, consentendo ai proprietari di mettere a reddito gli immobili.

Il fenomeno, però, può creare qualche tensione all’interno dei condomini, dove non tutti tollerano il via-vai dei turisti di passaggio.

Il diritto di usare il proprio appartamento in modo pieno ed esclusivo deve quindi trovare un equilibrio possibile con quello dei vicini che non affittano, e che pensano alla quiete e al decoro dell’edificio, oltre che ai maggiori oneri di manutenzione che probabilmente avranno per l’uso più intenso delle parti comuni.

 

Le locazioni turistiche

 

Ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. n.79 del 2011 Gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del Codice Civile in tema di locazione.

Il locatore può essere anche una persona fisica e la destinazione delle locazioni turistiche resta quella “ad uso abitativo” (e non “ad uso diverso”, come per le strutture alberghiere).

Ma rispetto alle locazioni brevi, quelle turistiche sfuggono ai vincoli imposti dalla L. n. 431 del 1998, dando così maggiore libertà contrattuale, soprattutto in tema di durata, non essendo previsto il termine massimo di trenta giorni.

 

La collisione tra diritti costituzionalmente garantiti

 

D’altra parte:

  • se è vero che secondo l’art. 1138, comma IV, c.c. “le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni”,
  • è altrettanto vero che la libertà di ciascuno termina, come noto, laddove inizia quella degli altri,

potendo dunque affermare che le locazioni turistiche non possono in alcun modo comportare un uso eccessivo delle parti comuni tale da alternarne la funzione o da comprimere in misura non accettabile il concorrente uso degli altri condomini.

Nella singolar tenzone tra chi affitta e non:

  • alla domanda principale che mira a interrompere quanto prima il disturbo che si assume derivi dalle locazioni turistiche (quale inosservanza di un divieto regolamentare espresso, o dedotto in via analogica, o quale contravvenzione di un limite codicistico),
  • si aggiunge a volte la domanda risarcitoria del danno non patrimoniale che si assume leso per la lesione al diritto di condurre una normale vita familiare all’interno della propria abitazione e di esplicarvi le proprie abitudini di vita quotidiane.

Diritti, anch’essi, costituzionalmente garantiti, e tutelati anche dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

 

I possibili strumenti a tutela di chi non affitta

 

Il primo vero argine al dilagare del fenomeno è il regolamento condominiale.

Ma i mal di pancia che talora affliggono chi non affitta spesso non trovano in essi cura adeguata, se non altro per l’anzianità del documento.

Se, da una parte, infatti, i moderni building in vetro e acciaio, con tanto di concierge, prevedono ormai stabilmente una disciplina ad hoc, la gran parte degli edifici meno recenti no.

E dunque, non potendo impedire un diritto costituzionalmente garantito come quello, appunto, di usare appieno le proprie cose (e case), e risultando sentiero decisamente impervio la modifica del regolamento (che dovrebbe ottenere il voto favorevole anche di chi invece ha interesse a evitare il divieto), andrà verificato in concreto e caso per caso:

  • se le violazioni commesse dagli affittuari siano in aperto contrasto con un divieto già chiaramente previsto dal regolamento; oppure, in mancanza,
  • se in quale misura lo sforzo interpretativo del regolamento esistente possa consentire un uso analogico dei divieti contemplati, che spesso usano espressioni piuttosto generiche (“attività alberghiere”) o superate (“pensioni”) (cfr. ex multis Civ. sent. n. 22711/2017); o ancora, nel silenzio del regolamento,
  • se sussistano i presupposti del rimedio generale offerto dall’art. 844 c.c., che vieta immissioni (di rumore, fumi o altro) oltre la normale tollerabilità, dotandosi di prove (anche audiometriche, o per esempio sull’impennata delle spese di manutenzione delle parti o servizi comuni) in grado di supportare la contestata violazione e il diretto nesso causale con le locazioni turistiche.

I Tribunali, coinvolti sempre più di frequente sulla contesa tra libero godimento della proprietà e rispetto delle servitù dominicali reciproche (quelle che insistono sulle parti comuni), tendono a una interpretazione piuttosto restrittiva dei regolamenti, impegnati a garantire, almeno allo stato, la pienezza delle facoltà del proprietario.

 

 

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