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Il danno biologico permanente è sempre più al centro del dibattito accesosi intorno alla più generale categoria dei cosiddetti danni non patrimoniali.

Il danno biologico trova la sua tutela nel combinato disposto dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 32 Cost., che convergono entrambi verso l’obiettivo di garantire una riparazione del danno inferto al fisico o alla psiche della vittima; riparazione che si va ad aggiungere a quella del danno puramente economico (c.d. danno patrimoniale).

Per assicurare un congruo ristoro del danno biologico, il Giudice accerta preliminarmente l’entità della lesione presentata dalla fattispecie (verificandone, ad esempio, gravità e serietà delle conseguenze), per poi liquidare il danno, temporaneo o permanente che sia, sulla scorta delle apposite tabelle in uso presso il Tribunale.

La recente sentenza n. 31574 del 25 ottobre 2022 della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di danno biologico permanente derivante da responsabilità medica, individuando nella rendita vitalizia, la miglior forma di riparazione al danno biologico permanente.

La Corte, infatti, nel pronunciarsi circa la responsabilità di una struttura sanitaria per danno arrecato ad un infante dimesso anzitempo dalla struttura, ha individuato nella rendita vitalizia uno strumento che, erogato costantemente e regolarmente nel tempo, assicura il più idoneo ristoro ad uno stato di permanente lesione.

Si tratta, dunque, di un vero e proprio risarcimento a tempo indeterminato, dove la vittima è indennizzata con cadenza mensile per affrontare il carattere irreversibile del danno.

La quantificazione della rendita, tuttavia, non è di agevole calcolo; i giudici chiamati a liquidare il danno dovranno infatti considerare:

  • la durata media di vita di un soggetto sano e
  • l’età che la vittima aveva il giorno del danno subito.

La pronuncia dei giudici della Corte pone in risalto l’importanza dell’istituto della rendita vitalizia a fronte dell’ingente pregiudizio subito da una vittima che giornalmente convive con un danno infertole da terzi.

La Corte, al fine di promuovere l’istituto, si spinge addirittura oltre, affermando che la rendita vitalizia debba essere strumento da preferirsi (o sostituirsi) al risarcimento corrisposto una tantum, quando questo sia destinato a persone socialmente deboli e “non preparate psicologicamente a gestire un capitale ricevuto dall’oggi al domani”.

 In questi contesti sociali, continua la Corte, sussiste un altissimo rischio di dispersione del capitale percepito (colpevolmente o inconsapevolmente, per malafede o semplice inesperienza della vittima o dei suoi familiari) che dovrebbe suggerire al giudice di privilegiare la liquidazione del danno in via di rendita vitalizia, anziché come immediato ed integrale ristoro.

Prima di concludere è doveroso precisare un ulteriore dato: la somma a titolo di rendita vitalizia è passibile di revisione, laddove la vittima dovesse subire una ulteriore limitazione della prospettiva di vita o, in casi assai più complicati, morire, come conseguenza della lesione subita a causa dell’evento.

Dovrà, in tali ipotesi, essere depositata una nuova domanda risarcitoria che verrà ammessa dal giudice solo in caso in cui gli aggravamenti della lesione nella vittima non fossero già:

  • accertabili e
  • prevedibili

al momento della prima pronuncia giudiziale.

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