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La distinzione tra molestie e atti persecutori

 

Il filo rosso che lega il reato di condotte moleste a quello di atti persecutori (stalking) è rappresentato dalle ripercussioni spesso disastrose per le vittime.

Sul piano giuridico, tuttavia, le conseguenze di tali reati divergono significativamente, rendendo necessario individuare un confine tra le due fattispecie.

Confine tracciato innanzitutto dai beni giuridici che i due reati si propongono di tutelare:

  • la quiete privata e l’ordine pubblico, nel reato di molestie, e
  • la libertà individuale nel reato di atti persecutori.

Una recente sentenza della Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 32813 del 06/09/2022) ci aiuta oggi nel mettere ancor più a fuoco la distinzione tra il reato di atti persecutori e il reato di molestie.

La Corte ritiene che il delitto di atti persecutori sia configurabile in presenza di condotte idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia, in grado di produrre un’alterazione delle sue abitudini di vita. Sussisterebbe, invece, il reato di molestia quando i comportamenti si limitino a infastidire la vittima.

Analizzando le caratteristiche delineate dalla sentenza della Cassazione, risultano ora più nitide le differenze tra le due fattispecie di reato:

 

Reato di molestie

(art. 660 c.p.)

Caratteristiche
comportamenti idonei a cagionare fastidio altrui
disturbo alla quiete della vittima
disordino sociale
una sola azione molesta
Reato di atti persecutori

(art. 612 bis c.p.)

comportamento assillante e invasivo
grave e perdurante stato di ansia
fondato timore per l’incolumità
invasione della sfera privata e psicologica
reiterazione delle condotte

 

Prima ancora della sentenza in esame, la Cassazione ha esteso il reato di stalking anche alle comunicazioni di carattere minatorio dirette a destinatari diversi dalla persona offesa e che creino in quest’ultima un turbamento per l’incolumità altrui e per l’invasione della propria sfera privata.

A fini distintivi tra i due reati, va ricordato che al reato di atti persecutori è attribuita natura di reato “abituale”, non esaurendosi in una sola condotta e costringendo la vittima ad alterare le proprie abitudini.

 

Stalking e maltrattamenti in famiglia: cosa succede in caso di divorzio?

 

La definizione di stalking risulta tanto più necessaria in ambito di diritto di famiglia, dato il ricorrere di atti persecutori tra coniugi.

La Suprema Corte, chiamata in altra occasione a pronunciarsi su questo tema, pone al centro della propria sentenza il vincolo di unione tra i due soggetti.

Secondo la Corte, a seguito di un divorzio, il vincolo familiare tra i due soggetti si recide definitivamente; quindi, seppur la condotta sia rivolta al (l’ex) coniuge, va negata la sussistenza del reato di molestie in favore dell’applicazione del più calzante reato di atti persecutori.

In altre parole, per qualificare le condotte come maltrattamenti familiari è necessario che esista una relazione soggettiva caratterizzata dagli elementi tipici della convivenza di vita quotidiana.

Più difficile è l’individuazione della fattispecie nel caso in cui i maltrattamenti inizino durante la vita di coppia e proseguano anche dopo la fine della relazione.

I ragionamenti praticabili in tal caso possono essere due:

  1. ritenere sussistente il vincolo tipico della relazione in nome della pregressa convivenza oppure
  2. considerare la condivisione della vita quotidiana dei soggetti come presupposto essenziale del vincolo familiare.

Nella prima ipotesi, pur venendo meno la convivenza, le condotte possono essere comunque ricondotte nell’alveo dei maltrattamenti perché la relazione sussiste in virtù di un legame passato, quindi anche in assenza di una convivenza.

Mentre, considerando la seconda ipotesi, si verifica la situazione prospettata dalla Cassazione, dove, venendo meno il vincolo familiare, i comportamenti molesti, se presenti le caratteristiche tipiche del reato, non si configurano come maltrattamenti ma come atti persecutori.

Il tema è senz’altro complesso perché gli elementi da valutare, caso per caso, sono numerosi. D’altra parte, è assodato che l’ordinamento giuridico italiano presenti ancora oggi ampie lacune in materia: recentemente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, invocando la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, ha condannato l’Italia per non aver offerto protezione e assistenza a una donna vittima di maltrattamenti e violenza domestica da parte dell’ex marito che pur aveva più volte denunciato.

 

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