Tempo di lettura: 2 minuti

 

La dotazione di efficaci “Modelli Organizzativi di Controllo e Gestione” di cui al D.Lgs. 231/2001 costituisce da tempo un adempimento imprescindibile di compliance aziendale.

Dedicato a tutti gli enti di diritto privato, al fine di prevenire possibili responsabilità (per la mancata adozione del Modello) per i reati posti in essere da soggetti apicali o comunque funzionalmente riferibili all’ente, la platea degli operatori economici coinvolti si è di fatto via via allargata.

Tra i reati coperti dal raggio d’azione della norma possiamo ricordare, in particolare:

  • quelli contro la Pubblica Amministrazione
  • o commessi in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro
  • quelli informatici (e il trattamento illecito di dati)
  • i reati societari o ambientali
  • quelli in materia di violazione del diritto d’autore
  • e l’impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.

All’avverarsi di ipotesi di reato rilevanti ai fini 231, la società potrà andare indenne da responsabilità qualora dimostri di aver adottato e attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione idoneo a prevenirle.

Destinatari della normativa 231 sono gli “enti forniti di personalità giuridica, le società fornite di personalità giuridica e le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica.”

L’ampia formulazione dell’art. 1, comma 2, D.L.gs. 231/2001 consente di abbracciare tra i soggetti indicati anche gli enti no profit, come confermato dall’art. 4, comma 1, lett. g) L. 106/2016, sulla riforma del Terzo Settore.

Oltre a disciplinare gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d’informazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi, la normativa in materia (cfr. “Codice del Terzo settore” e “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale”) prevede in aggiunta compiti di vigilanza anche sull’osservanza del “Modello 231”.

Proprio con particolare riferimento agli enti del terzo settore, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) estende il rispetto delle prescrizioni in questione, tenuto conto della natura dei servizi erogati, dovendo il Modello 231 prevedere:

  • l’individuazione delle aree esposte al maggior rischio di reati
  • l’impostazione e implementazione di idonee procedure per la formazione e l’attuazione dei processi decisionali dell’ente in tali aree
  • l’adozione di modalità di gestione delle risorse economiche idonee a impedire la commissione dei reati
  • l’impostazione di un appropriato sistema di trasmissione delle informazioni all’organismo di vigilanza
  • l’adozione di misure di tutela dei dipendenti che denuncino illeciti
  • l’introduzione di sanzioni per l’inosservanza delle procedure adottate.

Con l’adozione del modello organizzativo andrà quindi nominato un organismo che vigili sul suo funzionamento e sulla sua osservanza, e che sia di impulso al suo aggiornamento periodico.

L’adozione del modello dovrà essere preceduta, quindi, da una completa mappatura e valutazione dei rischi nei processi aziendali, tale da consentire l’individuazione di condotte idonee alla commissione di illeciti nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Va infatti ricordato che, in generale, il Modello 231 voluto dal legislatore è un documento vivente e non può in nessun caso limitarsi a un mero adempimento burocratico, dovendo quindi evolversi e adattarsi man mano alla realtà aziendale, per sua natura sempre mutevole.

 

Consulenza 

Contenzioso

Linkedin LR & Partners