locazione in tempo di CovidLe tensioni economiche della pandemia hanno spinto la Corte di Cassazione a intervenire sul disequilibrio contrattuale generato purtroppo dal Covid.

Con la relazione n. 56/2020, la Suprema Corte affronta lo spinoso tema della mancata esecuzione delle obbligazioni, in particolare, nell’ambito dei rapporti di locazione.

 

Il Covid e i contratti di locazione

Le restrizioni imposte dalla normativa emergenziale hanno avuto e continuano ad avere pesanti ripercussioni sulle attività di ristorazione e di vendita al dettaglio.

Il lockdown, le chiusure anticipate e le limitazioni agli ingressi stanno obiettivamente impedendo la normale routine degli esercizi commerciali, gettando molti operatori (fino a ieri irreprensibili conduttori) nella impossibilità o seria difficoltà di pagare puntualmente i canoni di locazione.

Negli ultimi mesi, dunque, è sorta l’esigenza di trovare appigli normativi in grado di superare le strettoie contrattuali, per giustificare i ritardi e gli inadempimenti dei conduttori.

Ed è proprio sui rimedi della «impossibilità sopravvenuta» e della «eccessiva onerosità sopravvenuta» che si sono concentrati gli Ermellini, evidenziandone le fragilità.

 

L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità sopravvenuta

E’ stato anzitutto rilevato come lo strumento della impossibilità sopravvenuta risulti disinnescato se l’obbligazione inadempiuta sia un mancato pagamento, qual è, di fatto, l’omesso versamento del canone di locazione.

Il pagamento, infatti, non diventerebbe mai “impossibile” in senso oggettivo, ma solo in senso soggettivo, per esempio per mancanza di liquidità.

Tanto che l’impossibilità sopravvenuta, essendo ritenuta parte del rischio d’impresa, riconducibile spesso a mancati incassi o a crisi del settore, non appare sufficiente a liberare il debitore neanche quando sia sopraggiunta per ragioni indipendenti dalla sua volontà o dalle sue scelte imprenditoriali.

D’altra parte, con riferimento specifico alla locazione, viene osservato come il locatore non risulti inadempiente quando permette comunque il godimento dei locali.

La differenza su cui fa leva il ragionamento della Suprema Corte (benché sottile da cogliere per chi ha la saracinesca abbassata o il locale pressoché vuoto) è tra:

  • la possibilità di godere dei locali (che non è venuta tecnicamente meno neanche in questi mesi) e
  • la impossibilità di trarne appieno utilità.

Tale impossibilità è stata causata, però, dal cosiddetto factum principis (ovverosia dalle norme emergenziali) e non dalla volontà o da un comportamento del locatore.

In tale quadro, consentire al conduttore di utilizzare l’impossibilità sopravvenuta come strumento per esonerarsi dal pagamento del canone porrebbe a carico del locatore il rischio delle conseguenze finanziarie determinate dalle restrizioni Covid.

Senza considerare, peraltro, che l’impossibilità sopravvenuta, qualora fosse ritenuta definitiva e non solo temporanea, porterebbe alla risoluzione del contratto.

Risultato che molti conduttori, invece, non desiderano, volendo conservare i locali e la clientela abituale, nella speranza che, venuta meno questa impossibilità sia possibile riavviare appieno l’attività.

Medesime considerazioni valgono per l’eccessiva onerosità sopravvenuta, rispetto alla quale il rimedio previsto è, ancora una volta, la risoluzione del vincolo contrattuale.

Pertanto, qualora utilizzata dal conduttore, è soltanto il locatore a poterla evitare, proponendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Proposta difficile da ipotizzare tutte le volte in cui il locatore preferisca liberare i locali.

 

La normativa anti-Covid

La panoramica della Corte di Cassazione si è soffermata anche sull’art. 3 del DL 6/2020, che, con un colpo alla botte e l’altro al cerchio, ha stabilito che:

6 bis – Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

 6 ter – Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda”.

In altre parole, gli sforzi del conduttore, tesi a tradurre in concreto le prescrizioni sanitarie, non sono affatto una esimente automatica dell’inadempimento, ma saranno valutati sul piano della responsabilità della frattura contrattuale e comporteranno per il creditore l’obbligo di sottostare al vaglio preventivo di un mediatore, che, in un’ottica deflattiva del contenzioso, tenterà una mediazione tra la pretesa all’adempimento e le difficoltà determinate dall’emergenza sanitaria.

Il debitore, quindi, non viene liberato tout court dalla prestazione dedotta in obbligazione (il pagamento del canone e delle spese condominiali), ma il suo inadempimento potrà essere considerato incolpevole.

Ciò che rileva unicamente sul piano di risarcimenti, interessi ed eventuali penali, senza impedire al locatore di chiedere l’adempimento del contratto o la sua risoluzione.

Il conduttore, quindi, non potrà pretendere che la locazione prosegua senza che vi sia alcun obbligo di pagare i canoni per i mesi durante i quali ha dovuto rispettare le misure di contenimento.

 

La rinegoziazione del contratto

Il quadro sopra delineato non sembra offrire soluzioni conservative al conduttore che, sebbene pesantemente danneggiato dalla pandemia, voglia proseguire l’attività.

Se in alcuni casi il confronto costruttivo tra le parti ha favorito soluzioni concordate, grazie a sconti o piani di rientro concessi dal locatore, in molti altri il conduttore ha avvertito l’assenza di un diritto non ancora codificato.

Come quello alla «rinegoziazione del contratto», contemplato anche dal disegno di legge per la revisione del Codice Civile (attualmente in discussione in Parlamento), che prevede espressamente il diritto delle parti (di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili) di pretendere la loro rinegoziazione al posto della risoluzione.

In attesa del Legislatore, i Giudici di Piazza Cavour tentano di trovare una soluzione facendo perno:

  • sul «principio di buona fede», in particolare quella “oggettiva”, che assume come parametro da valutare nell’esecuzione del contratto, e
  • sulla rinegoziazione come passaggio obbligato di adattamento del contratto alle mutate circostanze.

Un passaggio che, tuttavia, deve sempre tener conto del principio-guida che regola l’autonomia delle parti, quello della loro «libertà», cardine che:

  • da un lato, argina modifiche tali da violare il risultato negoziale inizialmente voluto dalle parti stesse, impedendo di stravolgere il contratto, e
  • dall’altro, mira ad allinearne le clausole alla nuova situazione di fatto.

L’obbligo di rinegoziare, così perimetrato, imporrà quindi alle parti di intavolare trattative e di condurle in modo leale (pena l’eventuale risarcimento), ma non anche di modificare il contratto secondo le richieste di una sola parte.

 

Conclusioni

L’auspicio degli operatori, in definitiva, è che l’invito della Suprema Corte accorci le distanze tra le opposte esigenze (nel caso trattato, tra locatori e conduttori), spingendole verso soluzioni condivise e improntate a buona fede ed equità, con l’obiettivo di favorire la prosecuzione dei rapporti contrattuali.

 

Consulenza 

Contenzioso