La Corte di Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite per risolvere il contrasto giurisprudenziale che riguarda le azioni che il compratore può esperire qualora acquisti un bene viziato.

Tra le obbligazioni principali del venditore vi è infatti quella di garantire che la cosa venduta sia esente da vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.

In caso contrario, il compratore può agire per ottenere la risoluzione del contratto di compravendita o la riduzione del prezzo di acquisto.

Ma chi deve provare l’esistenza dei vizi, il compratore (chiamato a dimostrare che preesistevano alla consegna) oppure il venditore (chiamato a provare di aver consegnato la cosa senza vizi)?

Dalla risposta derivano importanti conseguenze sotto un duplice profilo, sostanziale e processuale.

In generale, stando all’art. 2697 c.c., chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre l’altra parte è tenuta a provare che quel diritto si è modificato o estinto.

I diversi orientamenti giurisprudenziali

Applicando tale principio alle azioni del compratore che fa valere la garanzia per vizi, si sono susseguiti nel tempo due diversi orientamenti.

Secondo un orientamento più “tradizionale”, l’onere della prova ricadrebbe sull’acquirente, quale soggetto che coltiva l’azione giudiziale per vedersi garantito dal compratore rispetto ai vizi della cosa acquistata.

Tale indirizzo è stato confermato fino al 2013, quando una pronuncia a Sezioni Unite ha ribaltato la ripartizione dell’onere probatorio, stabilendo invece che:

  • al compratore basta denunciare la mera presenza di difetti o vizi,
  • mentre ricade sul venditore l’onere di provare, anche tramite presunzioni, di aver consegnato un bene conforme alle caratteristiche volute.

Le Sezioni Unite del 2019 sul punto

Gli ermellini sono nuovamente intervenuti a Sezioni Unite, per porre fine a tale contrasto con la Sentenza n. 11748/2019, precisando che il venditore non è tenuto all’obbligo specifico di consegnare la cosa priva di vizi, essendo solamente obbligato a garantire il compratore qualora il bene venduto si dimostri viziato.

Pertanto, la consegna di una cosa venduta viziata non integra un inadempimento in sé alle obbligazioni del venditore, configurandosi tutt’al più quale inesatto adempimento, che genera in capo al venditore una responsabilità diversa e speciale, di tipo assicurativo-garantistico, basata sul solo presupposto oggettivo dell’esistenza dei vizi.

Traslato tale principio nella compravendita, ne deriva che è il compratore (intenzionato a domandare la risoluzione o la riduzione del prezzo) a dover dimostrare il presupposto che giustifica l’azione esperita, ovverosia proprio l’esistenza dei vizi.

Un orientamento che soddisfa anche il principio di cosiddetta “vicinanza della prova”, che ritiene l’acquirente nelle migliori condizioni di offrire la prova dei vizi, avendo la materiale disponibilità del bene che si assume imperfetto.

D’altra parte, la pronuncia in questione libera il venditore da una prova di fatto “impossibile”, non potendo (e non dovendo) egli provare l’assenza di vizi.

Consulenza

Contenzioso