La Cassazione, con la recente Ordinanza n. 8894/2020, è tornata a occuparsi delle clausole claims made, un tema che si conferma di grande interesse per la giurisprudenza e che non manca di offrire numerose e interessanti pronunce per gli operatori assicurativi.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha avuto occasione di chiarire la propria posizione su un contratto di assicurazione contro la responsabilità civile stipulato da un ospedale, contenente una clausola claims made “spuria”; clausola che, come d’uso per questo tipo di pattuizioni, faceva coincidere il sinistro con la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal terzo (e non col comportamento generatore della responsabilità dell’assicurato), tuttavia garantendo la copertura ai soli sinistri denunciati dall’ospedale entro dodici mesi dalla cessazione degli effetti del contratto.

 

La tipicità del contratto assicurativo e i limiti all’autonomia privata

Gli Ermellini, confermando come il contratto di assicurazione non perda la sua tipicità per il solo fatto di prevedere una clausola claims made, hanno preso le mosse dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 22437/2018 (che ribaltò l’orientamento espresso solo due anni prima dalle medesime Sezioni Unite), ribadendo come il sindacato di validità di tali clausole:

  • non debba avere ad oggetto una valutazione di meritevolezza, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., che si applica ai soli contratti atipici, ma
  • debba essere condotto unicamente alla stregua di quanto sancito dal primo comma della medesima norma.

A fare da bussola all’interprete deve quindi essere il rispetto dei “limiti imposti dalla legge”, dovendo essere affermata la nullità della clausola per causa illecita tutte le volte in cui tali limiti sono violati.

 

Patti nulli se di eccessivo ostacolo all’esercizio del diritto

La Cassazione ha posto così l’accento sul contrasto tra la clausola in questione e l’art. 2965 c.c., a mente del quale “è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l’esercizio del diritto”, configurando il termine di ultrattività (nel caso in esame i 12 mesi entro i quali l’ospedale doveva denunciare il sinistro) come un termine di decadenza nullo, perché tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto dell’assicurato.

Difficoltà da valutarsi non in termini temporali, nel senso di adeguatezza o meno della lunghezza del periodo di ultrattività, ma in termini di concreta possibilità per l’assicurato di evitare la decadenza attraverso una propria condotta.

Possibilità gravemente limitata, se non del tutto esclusa dalla clausola in esame, atteso che l’assicurato non ha controllo sulla condotta del terzo danneggiato e non può far nulla per costringerlo ad avanzare la propria richiesta di risarcimento in modo da permettergli una tempestiva denuncia del sinistro.

 

La decorrenza del termine di decadenza della pretesa risarcitoria

La stessa Corte, proseguendo nel ragionamento, ha precisato come sia ben diverso far decorrere il termine di decadenza dalla richiesta di risarcimento del terzo danneggiato anzichè dalla scadenza del contratto, evidenziando che, in quest’ultimo caso, la richiesta di risarcimento ben potrebbe pervenire oltre tale lasso temporale e lasciare l’assicurato privo di copertura.

Per tali ragioni la clausola configurerebbe una violazione di legge ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c. esarebbe nulla per causa illecita ex art. 1343 c.c.

Una pronuncia la cui portata potrebbe produrre un effetto domino sulle condizioni generali di polizza contenenti clausole analoghe e impone quindi agli operatori del settore una più attenta redazione dei testi contrattuali.

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