Il provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c.
quale possibile alternativa all’impugnazione della delibera assembleare ex art. 2378 c.c.

Nella recentissima ordinanza del 30 agosto 2019, il Tribunale di Milano, nuovamente chiamato ad esprimersi in una annosa controversia tra giganti delle telecomunicazioni, ha detto la sua sulla esperibilità del rimedio cautelare previsto dall’art. 700 c.p.c.

Come noto, la norma richiamata traccia una corsia preferenziale che permette celermente di ottenere la tutela richiesta, senza dover attendere i lunghi tempi dell’ordinario procedimento di cognizione, a condizione che:

  • venga accertata, seppur sommariamente, l’esistenza di un diritto (c.d. fumus boni iuris);
  • gravi su tale diritto la minaccia di un danno imminente e irreparabile (c.d. periculum in mora);
  • non vi siano altri rimedi analoghi cui fare ricorso (c.d. residualità della misura).

Se vengono soddisfatti tali requisiti è quindi possibile ottenere un provvedimento cautelare prima che venga accertata definitivamente l’esistenza di un diritto e prima della sua effettiva lesione.

Il caso

Nel caso affrontato dal Giudice meneghino una Società aveva preannunciato, a mezzo comunicato stampa, che alla successiva assemblea avrebbe impedito a uno dei soci di esercitare il diritto di voto collegato alle azioni possedute.

Il socio destinatario di questa decisione è quindi ricorso in giudizio, utilizzando lo strumento previsto dall’art. 700 c.p.c., chiedendo che gli fosse garantita la possibilità di esprimere il voto in assemblea.

La Società si è opposta alla concessione del provvedimento cautelare richiesto, affermando l’assenza del requisito della residualità, data la possibilità per il socio di impugnare a posteriori ex art. 2378 c.c. la delibera assembleare su cui non aveva potuto votare.

L’ordinanza del Tribunale

Il Tribunale non ha accolto questa impostazione, dando invece ragione al socio e garantendo, con l’emissione del provvedimento richiesto, la sua possibilità di esprimere il voto in assemblea.

Secondo il Giudice, infatti, l’impugnazione della delibera assembleare ex art. 2378 c.c. e il rimedio offerto dall’art. 700 c.p.c. sono diversi, visto che:

  • il primo è teso a ottenere la sospensione ex post dell’esecuzione della delibera viziata, mentre
  • il secondo mira a ottenere ex ante la possibilità di votare la delibera.

Non sarebbe quindi corretta la lamentata mancanza di uno dei requisiti richiesti per l’utilizzo della tutela cautelare.

Inoltre, si legge nell’ordinanza, chiedere che il socio debba aspettare che l’assemblea si tenga, e venga violato il suo diritto ad esprimere il voto, si porrebbe in contrasto con la funzione stessa dell’art. 700 c.p.c., poiché si costringerebbe il socio ad attendere una effettiva lesione del proprio diritto, anziché consentirgli di evitare il prodursi di questa lesione attraverso la tutela anticipatoria.

La decisione esaminata sembra seguire l’invito, rivolto dai Giudici della Corte di Cassazione, di non limitarsi alla meccanica e formalistica interpretazione di regole processuali astratte, ma a far sì che la loro applicazione eviti, nel caso concreto, che si giunga a un inutile allungamento dei tempi di giustizia e a una riduzione dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Essa, inoltre, dilata l’orizzonte applicativo del procedimento cautelare, offrendo così agli operatori un più efficace e celere strumento di tutela.                

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