La sentenza lapidaria della Corte Costituzionale torna ad ampliare la discrezionalità del Giudice del Lavoro sul criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento.

Con la sentenza n. 194 dell’8 novembre 2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 3, comma 1, del D. Lgs. 23/2015, nella parte in cui stabiliva l’indennità spettante al lavoratore (assunto dopo il 6 marzo 2015 e licenziato in modo ingiustificato) in misura “pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.

Tale criterio di quantificazione, che opera entro limiti predefiniti (6 mensilità minimo e 36 mensilità massimo, come stabiliti dalla norma riformata dal D.L. 87/2018, c.d. “Decreto Dignità”), è stato bocciato dal Giudice delle Leggi traducendosi a suo parere in un sistema di “liquidazione legale forfettaria e standardizzata.

Era infatti ancorato alla sola anzianità, precludendo spazi di graduazione in base ad altri fattori in grado incidere comunque sull’entità del pregiudizio sofferto dal lavoratore ingiustamente licenziato.

Pertanto – questo il ragionamento della Corte Costituzionale – quand’anche il lavoratore avesse fornito prova di un danno maggiore, avrebbe ricevuto la stessa tutela prevista per altri lavoratori con pari anzianità.

 

Misura dell’indennità di licenziamento – I rilievi della Corte Costituzionale

Un meccanismo considerato in aperto contrasto:

  • con l’art. 3 Cost., in relazione:
  1. al principio di uguaglianza, poiché trattava in modo uguale situazioni spesso diverse e
  2. al principio di ragionevolezza, poiché approdava a una indennità inadeguata sia rispetto alla finalità di «pieno ristoro» del pregiudizio subito dal lavoratore sia rispetto a quella di «dissuasione» del datore di lavoro dall’intento di licenziare ancora senza valide giustificazioni;
  • con gli artt. 4, comma 1, e 35 Cost., poiché la norma era lesiva dell’interesse del lavoratore alla stabilità dell’occupazione;
  • con gli artt. 76 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea, che prevede l’obbligo di garantire un congruo indennizzo al lavoratore licenziato.

La scure della Corte Costituzionale torna quindi a dare maggiore discrezionalità al Giudice nella commisurazione dell’indennità spettante al lavoratore.

Una sentenza importante, in virtù della quale i Giudici saranno nuovamente chiamati a quantificare l’indennità, pur nel rispetto dei limiti sopra richiamati (6 – 36 mensilità), ma tenendo conto, non solo dell’anzianità di servizio, ma anche degli altri elementi rilevanti in base alla disciplina dei licenziamenti:

  • numero dei dipendenti occupati,
  • dimensioni dell’attività economica,
  • comportamento e condizioni delle parti.

La decisione avrà un impatto anche sui giudizi pendenti e a tale riguardo va segnalata la recente sentenza del Tribunale di Bari (11 ottobre 2018, n. 43328), che in tema di procedura di riduzione del personale, aveva liquidato l’indennità spettante al lavoratore ispirandosi già a una «valutazione equitativa» invece che al «rigido criterio-standard» colpito dalla pronuncia.

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