La compensatio lucri cum damno è principio ben noto e risalente nel nostro ordinamento, grazie al quale il danno liquidato a titolo di risarcimento da fatto illecito viene temperato in presenza di eventuali conseguenze vantaggiose riportate dal danneggiato.

Le criticità applicative di tale principio riguardano, non tanto i vantaggi tratti dal fatto illecito o ad esso comunque attribuibili, quanto piuttosto quelli che il danneggiato non avrebbe conseguito in assenza del danno (come ad esempio le somme ricevute da assicuratori privati o sociali, enti previdenziali, terzi).

Pensiamo al risarcimento del danno da sinistro, nel quale tipicamente il danneggiato abbia già riscosso importi a titolo di indennità assicurativa: è necessario chiedersi se tali importi, pagati per mano di un terzo, possano aggiungersi o debbano essere invece detratti (i.e. compensati) dal risarcimento in capo al danneggiante.

Il meccanismo della compensazione risponde all’esigenza generale di garantire al risarcimento del danno una funzione esclusivamente ripristinatoria della situazione preesistente all’evento dannoso, evitando che possa invece tradursi in un profitto che, se andasse oltre tale reintegrazione patrimoniale del danneggiato, sarebbe considerato ingiusto, dando luogo alla c.d. “locupletazione”.

Dal che deriva che il risarcimento, nella sua interezza, non può e non deve superare l’entità del danno stesso.

Questo in teoria, poiché nella prassi sottoposta via via al vaglio dei Giudici, si verifica spesso che il danneggiato vanti più prestazioni da parte di più soggetti, il danneggiante e colui che eroga indennità o rendite, tenuti a diverso titolo: il primo per aver causato il fatto illecito, mentre il secondo per aver contratto una obbligazione o per esservi tenuto a norma di legge.

Ciò che ha alimentato orientamenti giurisprudenziali opposti:

  • quello secondo cui la compensazione non dovrebbe trovare applicazione, atteso che – per un verso – le due prestazioni hanno soggetti, titoli e fonti diversi e – per altro verso – non sarebbe giusto che il danneggiante paghi un risarcimento ridotto avvantaggiandosi di benefici pubblici o privati;
  • e quello secondo cui, viceversa, la compensazione dovrebbe trovare applicazione, atteso che – per un verso – il risarcimento deve comunque coprire tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito e tra le conseguenze vanno considerate anche quelle vantaggiose e – per altro verso – in caso di rivalsa a seguito di surroga nei diritto del danneggiato (da parte di chi eroga indennità), il danneggiante rischierebbe di pagare due volte lo stesso danno, sia al danneggiato che al soggetto in surroga.

Le Sezioni Unite sulla compensatio lucri cum damno

La Cassazione a Sezioni Unite, con le sentenze gemelle del 22 maggio 2018, n. 12564 12565 e 12566 e 12567, ha affrontato la questione rilevando, innanzitutto, che il versamento di una indennità, sia pur differente nella fonte e nel titolo rispetto al risarcimento, mira comunque a garantire il ristoro del pregiudizio ingiustamente subito dal danneggiato.

In tale ottica, dunque, indennità e risarcimento concorrono nella eliminazione delle conseguenze dannose e, ove fosse consentita una loro cumulabilità, a parere delle Sezioni Unite sarebbe concreto il rischio di procurare al danneggiato un importo addirittura superiore rispetto al danno subito.

Tale argine, osservato dall’angolo visuale del danneggiante, potrebbe indurre a sostenere che lo stesso ne tragga vantaggio, atteso che – grazie al principio della cumulabilità – pagherebbe un risarcimento inferiore.

La tesi, però, deve fare i conti con i rischi ai quali il danneggiante rimarrebbe comunque esposto nei confronti (i) sia del danneggiato che intenda agire direttamente contro il danneggiante per la differenza del danno non coperta dall’indennità (ii) sia dell’assicuratore che intenda surrogarsi e agire in rivalsa per recuperare quanto versato al danneggiato-assicurato.

Questa, in conclusione, la traiettoria delle riflessioni tracciata dalle pronunce in commento.

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