Con la sentenza n. 11256 del 10/5/2018, la Corte di Cassazione ha fornito un’interessante risposta al quesito se il contratto che difetti di un trasferimento del know how dal franchisor al franchisee possa qualificarsi come franchising.

La legge 129/2004 definisce il know how come quel “patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato” e lo inserisce (insieme a marchi, insegne, diritti di autore, brevetti, ecc.) in un lungo elenco di diritti proprietà industriale e intellettuale oggetto del contratto di franchising.

Gli operatori del diritto hanno costantemente riconosciuto al trasferimento del know how una posizione centrale nel contratto di affiliazione commerciale, innalzandolo a elemento imprescindibile; posizione che ha trovato un fondamento nelle seguenti norme:

  • l’art. 3, comma 4, lett. d) della legge 129/2004, a mente del quale il contratto deve indicare espressamente “la specifica del know how fornito dall’affiliante all’affiliato” e
  • il Reg. CEE n. 4087/88 (in verità ormai abrogato) che individuava il know how tra gli elementi strutturali del contratto.

Questa visione, rafforzatasi nella prassi con la costante presenza di clausole di trasferimento di know how nei contratti di franchising, si è nel tempo sempre più consolidata.

Con la sentenza sopra citata, la Corte di Cassazione si distanzia da tale orientamento, qualificando il trasferimento del know how quale mero elemento accessorio (e non necessario) del contratto di franchising.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il know how è solo uno tra i diritti di proprietà industriale e intellettuale citati dalla legge 129/2004 e non ha un ruolo preponderante rispetto agli altri.

L’elenco, in sostanza, non avrebbe carattere tassativo e cogente, con la conseguenza che il contratto di affiliazione commerciale non dovrà per forza contenere tutti quei diritti di proprietà industriale e intellettuale elencati dalla norma.

Infatti, ciò che rileva ai fini della qualifica del contratto quale franchising è che l’affiliato possa comunque beneficiare di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale che gli consentano di operare all’interno della rete di commercializzazione di beni o servizi riferibile all’affiliante.

Ben potrà, quindi, configurarsi un contratto di franchising privo della clausola concernente il trasferimento del know how.

Una conclusione che porta con sé conseguenze positive per gli operatori del settore.

Le parole della Cassazione, infatti, da un lato permettono di liberare il contratto di franchising da schemi rigidi, riaffermando la libertà contrattuale delle parti sancita dall’art. 1322 c.c. e, dall’altro lato, consentono all’affiliante di sviluppare i propri affari senza dover obbligatoriamente condividere il know how, così mettendo al riparo dalla necessaria diffusione un capitale tanto prezioso.

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