Il franchising, o affiliazione commerciale, è un contratto atipico di derivazione americana, con il quale gli imprenditori collaborano tra loro per la distribuzione di beni o servizi.

Con tale contratto, l’affiliante (franchisor) concede all’affiliato (franchisee) l’inserimento nella propria rete commerciale e il diritto di vendere i prodotti e di sfruttare marchio e know-how, a fronte del pagamento di un canone predeterminato in misura fissa o di una percentuale stabilita sui ricavi.

Notevoli i vantaggi conseguiti dall’imprenditore affiliato grazie al franchising, potendo infatti contare su una struttura già sviluppata e che il franchisor ha consolidato in anni di esperienza.

D’altra parte, l’affiliato deve in qualche modo rinunciare a una propria autonomia imprenditoriale “perfetta”, trovandosi in rapporto di dipendenza, giuridica ed economica, nei confronti dell’affiliante, poiché, pur esercitando l’attività commerciale in forma autonoma e rispondendone in proprio, l’affiliato è in realtà vincolato a numerose condizioni inserite nel contratto di franchising.

Vincoli che limitano in modo significativo il raggio d’azione del franchisee, sia durante il rapporto che dopo, e che riguardano, generalmente, la segretezza da mantenere sui prodotti e i processi, gli obiettivi da raggiungere (con i sottesi obblighi di acquisto di quantità minime) e i patti di non concorrenza da rispettare, anche in caso di scioglimento del contratto.

Va detto, a tale riguardo che la Legge n. 129/2004, nata in un contesto socio-economico decisamente diverso da quello attuale, nel disciplinare il contratto di franchising, pone una serie di presidi a tutela del franchisee, imponendo al franchisor stringenti obblighi informativi precontrattuali e doveri di correttezza e buona fede, al fine di consentire, per un verso, una adesione consapevole alla rete da parte dell’affiliato, e, per l’altro, una gestione trasparente del rapporto.

Gli aspetti critici del contratto di franchising

La norma, tuttavia, lascia privi di puntuale regolamentazione alcuni aspetti critici che, essendo rimessi alla autonomia contrattuale delle parti, rischiano di prestare il fianco al disequilibrio economico-giuridico tra franchisor e franchisee.

Un vuoto normativo che, negli ultimi anni, ha fatto avvertire a più riprese l’esigenza di rivedere e aggiornare la disciplina di questo importante strumento negoziale, con l’obiettivo di garantire, in concreto, un maggior equilibrio tra le parti, per quanto complicato sia.

In particolare, per affievolire l’idea che, una volta entrato in contratto, l’affiliato non possa più uscirne, se non a caro prezzo, attesa la diffusa applicazione di penali particolarmente onerose a suo carico, qualora intenda recedere anticipatamente, e il connesso patto di non concorrenza, che lo condanna a non poter proseguire l’attività in cui ha investito spesso tutte le proprie risorse, sviluppandola in anni di lavoro.

Anche su questo piano inclinato andrebbe misurata la capacità del Legislatore di tutelare i contrapposti interessi in fase di way-out dal contratto, tenendo in debita considerazione sia quelli dell’affiliante (che non è disponibile a ritrovarsi un concorrente cresciuto nella sua rete e intende tutelare il suo know-how) sia quelli dell’affiliato (che vorrebbe continuare a trarre profitto da quella che, in molti casi, è la sua fonte di reddito esclusiva o prevalente, senza immolarla completamente al cospetto del contraente “dominante”).

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