Lo scorso venerdì 17 marzo il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni, del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio, ha approvato il Decreto Legge n. 25/2017, che prevede l’abrogazione con effetto immediato degli articoli 48-50 del D. Lgs. 81/2015, riguardanti il lavoro accessorio (quello cioè retribuito con gli ormai noti voucher).

Con tale provvedimento, l’esecutivo ha di fatto scongiurato in extremis il referendum abrogativo sui voucher promosso dalla CGIL ed ammesso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 27/2017.

Non sono mancate polemiche e note critiche all’intervento dell’esecutivo.

L’abolizione tout court delle norme sul lavoro accessorio ha lasciato un vuoto normativo, determinato:
– da un lato, dalla mancata previsione di una disciplina transitoria che regoli l’utilizzo dei voucher acquistati prima del 17 marzo 2017 ed utilizzabili sino al 31 dicembre 2017;
– dall’altro lato, dalla mancata individuazione di uno strumento alternativo che consenta alle famiglie e alle imprese di gestire e retribuire prestazioni lavorative di natura sporadica o occasionale.

Disciplina transitoria voucher

Rispetto al primo problema, è già intervenuto il Ministero del Lavoro con un chiarimento pubblicato il 21 marzo nel quale si specifica che “l’utilizzo dei buoni per prestazioni di lavoro accessorie, nel periodo transitorio sopra ricordato, dovrà essere effettuato nel rispetto delle disposizioni in materia di lavoro accessorio previste nelle norme oggetto di abrogazione da parte del decreto”.

In altre parole, i voucher già acquistati si sottraggono all’abrogazione e le relative prestazioni lavorative continueranno ad essere regolate dagli articoli 48-50 del D. Lgs. 81/2015: occorrerà quindi attivare i voucher sul sito dell’INPS e comunicarne l’utilizzo almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione accessoria con sms o email all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, pena le sanzioni previste in caso di inadempimento (da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore).

Soluzioni alternative al voucher

Così superata la prima questione, rimane invece vivo ed irrisolto il problema di individuare alternative ai voucher, nell’attesa che il Parlamento dia fattivo seguito alle parole del Presidente del Consiglio (“nelle prossime settimane risponderemo all’esigenza di regolazione seria per il lavoro saltuario e occasionale”).

Dunque cosa fare nel frattempo?

Certamente, la figura che più si avvicina al lavoro accessorio è il c.d. lavoro intermittente (o lavoro a chiamata o Job on call), disciplinato dagli artt. 13-18 del D. Lgs. 81/2015.

Vediamone le caratteristiche.

Il contratto di lavoro intermittente è un contratto, a tempo determinato o indeterminato, mediante il quale un lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione di carattere discontinuo o intermittente su chiamata del datore di lavoro. Il datore di lavoro è chiamato ad adempimenti di comunicazione UNILAV identici a quelli imposti nel caso di normale assunzione.

Le parti possono convenire che il lavoratore sia obbligato a garantire la propria disponibilità in caso di chiamata da parte del datore di lavoro. In questo caso, oltre alla retribuzione per il lavoro svolto, al lavoratore spetterà un’indennità mensile per i periodi di inattività (c.d. indennità economica di disponibilità); l’importo dell’indennità se non è precisato nei CCNL, va quantificato in misura non inferiore al 20% della retribuzione mensile prevista dalla contrattazione collettiva per i lavori di corrispondente livello e mansioni.

E’ bene sapere che è possibile ricorrere al lavoro intermittente entro determinati limiti.

Due le ipotesi:
A) per lo svolgimento delle prestazioni indicate nei CCNL o, in assenza di specifiche disposizioni, di quelle individuate con Decreto Ministeriale (ipotesi c.d. oggettiva).
Attualmente, come precisato dal Ministero del Lavoro nell’interpello n. 10/2016, i casi di possibile utilizzo sono individuati dal D.M. 23 ottobre 2004, che, a sua volta, rinvia alla tabella allegata al R.D. 2657/1923.
B) per lo svolgimento di qualunque tipo di prestazione (quindi anche per prestazioni non indicate nella suddetta tabella), laddove il lavoratore abbia:
– un’età superiore ai 55 anni;
– un’età inferiore ai 24 anni, fermo restando che in tal caso la prestazione dovrà essere ultimata entro il compimento dei 25 anni (ipotesi c.d. soggettiva).

Fermo quanto sopra, i lavoratori intermittenti non possono svolgere più di 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di 3 anni solari, limite cui sfuggono i settori dello spettacolo, del turismo e dei pubblici servizi.

Quella qui suggerita è ovviamente una possibile soluzione “tampone” che lascia vivo l’auspicio di un rapido intervento normativo volto a colmare il vuoto lasciato dalla legislazione d’urgenza.